
Nell’angolo sono rimasti gli altri. I Cracolici, i Lupo, i Crisafulli, gli Speziale, tutta quella classe dirigente che al seguito di Teresa Piccione ha cercato di appigliarsi a regolamenti e ricorsi, finendo travolta dalla locomotiva renziana che ha corso diritta verso la meta, senza guardare in faccia nessuno. È l’alba del “partito aperto” teorizzato dall’ex sottosegretario. A cui fa gli occhi dolci, politicamente parlando, la Forza Italia che non digerisce Salvini, quella di Gianfranco Micciché.
È pesante il fardello che Faraone da oggi si carica addosso. È il fardello di un partito dilaniato, spaccato a metà a tutti i livelli, all’Ars come sui territori, con separati in casa che si considerano reciprocamente nemici. E all’orizzonte c’è il congresso nazionale, dove i renziani si giocheranno tutto contro Nicola Zingaretti. Favorito secondo i sondaggi e atteso come liberatore dagli avversari di Faraone. Con i retroscenisti nazionali pronti a scommettere su un Renzi con la valigia pronta per farsi il suo partito. In Sicilia non c’è stato bisogno dell’incomodo del trasloco. I renziani si sono presi il Pd, tutto, con un’assemblea di partito bulgara schierata tutta col nuovo segretario dopo la rinuncia di Piccione. E senza nemmeno doversi scomodare ai gazebo.
Riuscirà Faraone a ritrovare la leggerezza scrollandosi di dosso il macigno di questo disastro? La leggerezza, insegnava Italo Calvino, “non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”. Sarà un’impresa ardua. E di Calvino, guardando al Pd siciliano, sovvengono piuttosto le enigmatiche figure de I Nostri Antenati e i loro attributi. Il visconte dimezzato, dimezzato come il nuovo segretario delegittimato dall’altra parte del partito. Il barone rampante, rampante come i renziani che hanno respinto la prospettiva dell’unità, rottamandola come inciucio, per scegliere di contarsi e prendersi la segreteria senza accordi. E il cavaliere inesistente. Come rischia di risvegliarsi il Pd alla fine della sua eterna guerra fratricida.